Il Sesso e il Gender: il prodotto della cultura umana.
- M. Scotti
- 23 feb 2017
- Tempo di lettura: 7 min
Potrebbe sembrare che gli Studi di Genere (Gender Study) si siano diffusi solo negli ultimi anni, in concomitanza con lo scalpore nato quando si è pensato di introdurli all'interno dell'ambiente scolastico.
Le persone, ovvero lo specchio della nostra società, hanno espresso il loro disappunto, in quanto avrebbe potuto, secondo il loro punto di vista, confondere i bambini, inconsapevoli vittime di un progetto non ben esplicito mirante alla distruzione della famiglia e dei ruoli fondamentali ricoperti da donne e uomini all'interno di essa.
Quest'ultima affermazione è una mera opinione, condivisibile o meno, su cui si può discutere per ore. Una cosa che però va detta e che non può essere confusa con una opinione, in quanto è effettivamente un fatto reale, riguarda la nascita e la veridicità di questi studi.
L'antropologia americana è stata la prima ad occuparsi di differenze di genere nelle proprie ricerche sul campo. Il concetto di "Gender" compare effettivamente a partire dagli anni Settanta e una delle principali pioniere è stata la antropologa Margaret Mead che, attraverso lo studio sulle adolescenti delle isole samoane e sulle altrettante tribù della Papua Nuova Guinea, aveva studiato, già nella prima metà del novecento, le differenze tra i sessi e il concetto di genere come "invenzione" della società.
Ma prima di tutto, cerchiamo di dare una definizione al concetto di “Gender”.
Esso definisce l'insieme di regole, gusti, caratteriste e comportamenti che tendono a definire le differenze tra uomini e donne.
È determinato dal costrutto sociale sul sesso di nascita, quindi è un prodotto della cultura umana perché si riferisce all'identità correlata ai modelli di relazione, ruoli, vincoli e aspettative. Attraverso ciò si testimonia la propria appartenenza di genere e proprio per questo si parla di "ruoli di genere".
Il “Genere” quindi sarebbe un carattere appreso, non innato e si distingue dal “Sesso”, determinato esclusivamente dalla biologia, quindi dai caratteri sessuali definiti dai cromosomi.
La stessa Margaret Mead aveva ammesso che condivideva l'opinione generale della sua società, circa la presenza di un temperamento sessuale congenito e che questo potesse essere alterato o sviato dalla sua espressione normale. Inizialmente le pareva difficile pensare ciò che lei, e la sua società, consideravano congenito ad un sesso, potesse essere invece una semplice variazione del temperamento umano.
Nel suo saggio "Sesso e temperamento in tre società primitive" scritto negli anni trenta, la Mead riesce a formulare l'idea che «ogni cultura (...) crea un proprio tessuto sociale distinto (…) e può costringere ogni individuo nato nel proprio interno ad assumere un tipo di comportamento, per il quale né l’età, né il sesso né le attitudini particolari costituiscono elementi di differenziazione. Ma la cultura può anche attaccarsi all’evidenza delle differenze di età, di sesso, di forza, di bellezza, o anche a fatti insoliti, come una tendenza spontanea alle visioni e ai sogni, e farne altrettanti temi culturali dominanti».
Le sue opere, che analizzano le differenze sessuali da un punto di vista culturale, rappresentano il resoconto della sua ricerca sul campo, condotta tra la fine degli anni venti e gli inizi degli anni trenta, in alcune tribù della Papua Nuova Guinea: Arapesh, Mundugumor e Tchambuli.
Studiandole la Mead scoprì che le distinzioni tra uomini e donne, come lei le conosceva, non erano universali e non erano radicate nella biologia. Gli Arapesh e i Mundugumor non presentavano differenze di carattere negli uomini e nelle donne, quindi sembrerebbe non avessero un temperamento differente ma anzi «non avevano alcuna idea che certe caratteristiche del temperamento – volontà di dominare, coraggio, aggressività, oggettività, malleabilità – siano associate in modo inalienabile all’uno o all’altro sesso», in quanto contrapposti. Essi attribuivano ai due sessi semplicemente delle capacità diverse tra loro.
Nello specifico «trovammo che gli Arapesh, tanto gli uomini che le donne, esibivano una personalità che noi avremmo chiamato materna, per quanto riguarda i ruoli genitoriali, e femminile, per quanto riguarda i ruoli sessuali. Sia gli uomini che le donne erano addestrati ad essere cooperativi, non aggressivi, attenti ai bisogni e alle richieste degli altri. L'ideale Arapesh era un uomo mite e responsabile sposato ad una donna mite e responsabile.» Nemmeno la sessualità sembrava potesse essere una pulsione potente nè per le donne, nè per gli uomini.
Completamente diversi erano i Mundugumor, che crescevano come «individui spietati, aggressivi, con forti impulsi sessuali, mentre gli aspetti materni e accoglienti della personalità erano minimi. Tanto gli uomini che le donne si avvicinavano a un tipo di personalità che nella nostra cultura troveremmo solo in un maschio indisciplinato e molto violento.» A differenza dell'ideale Arapesh, l'ideale Mundgumor era un uomo violento e aggressivo sposato ad una controparte altrettanto violenta e aggressiva.
Nè per gli uni, nè per gli altri esisteva dunque una differenza di temperamento tra i due sessi.
Nella terza tribù, i Tchambuli, «trovammo un vero e proprio rovesciamento degli atteggiamenti sessuali caratteristici della nostra cultura: la donna come partner impersonale, dominante, direttiva, e l'uomo come persona meno responsabile ed emotivamente dipendente.» I caratteri, in questa società, erano dunque differenti dai canoni delle società occidentali.
Queste tre situazioni suggeriscono che «se quegli elementi di temperamento che noi, per tradizione, consideriamo femminili, - come la passività, la sensibilità, la propensione a curarsi dei bambini – possono tanto facilmente, in una tribù, entrare a far parte del carattere maschile, e in un’altra tribù essere invece esclusi sia dal carattere maschile sia da quello femminile, almeno per quanto riguarda la maggioranza degli uomini e delle donne, viene a mancarci ogni fondamento per giudicarli legati al sesso (…). Le osservazioni da noi raccolte fanno pensare che molti dei tratti cosiddetti maschili e femminili, se non tutti, non sono legati al sesso più di quanto lo siano il modo di vestire, le maniere, l’acconciatura del capo, che una società assegna a questo o a quel sesso in un momento qualsiasi della sua storia».
Ma perché si sono create queste differenze? Perché c'è tanta differenza tra le singole culture? Come si sono standardizzare le personalità legate ad entrambi i sessi? Margaret Mead ha cercato di rispondere a questa domanda, partendo dal presupposto che indubbiamente, in ogni società e cultura, ci sono delle differenze sostanziali che caratterizzano ciascun individuo.
L'antropologa americana si è rifatta all'ipotesi avanzata da Ruth Benedict, a cui la Mead fece da assistente: l'esistenza di differenze caratteriali e di temperamento in entrambi i sessi, distinzioni non necessariamente ereditarie ma che si stabiliscono nel tempo in ciascun individuo, divenendo strutturali e intrinseche, si trasformano negli elementi di base su cui si sviluppa la cultura e la società «la quale sceglie un determinato temperamento, o una combinazione di temperamenti affini, e lo trasmette in ogni singolo aspetto dell'organizzazione sociale». Egualmente si può dire sulla personalità sociale dei due sessi: «caratteri che si presentano in membri di ambedue i sessi sono assegnati specificamente ad un sesso e considerati estranei all’altro sesso. La storia della definizione sociale delle differenze di sesso è piena di simili arbìtri, commessi sul piano intellettuale e artistico. A causa di una presunta concordanza fra il sesso fisiologico e certe qualità emotive, non riusciamo a volte a renderci conto che arbìtri del genere vengono commessi anche sul piano, appunto, delle emozioni e dei sentimenti».
Di conseguenza «essendo partiti dal presupposto che sia particolarmente appropriata alla madre la cura del bambino, finiamo per pensare che, (...), quella sia una predisposizione di cui la donna è più largamente dotata. Ed essendo partiti dal presupposto che l’uomo è stato cacciatore, e che una simile attività richiede spirito di iniziativa, coraggio e padronanza di sé, attribuiamo all’uomo queste qualità come aspetti del suo temperamento sessuale. Molte società istituzionalizzano apertamente o implicitamente questi preconcetti». L'educazione dei bambini verte su questo, ovvero sull'assunzione di quelle caratteriste "femminili" o "maschili".
Come si può uscire da questa trappola? Da questa costruzione sociale?
Secondo la Mead si potrebbe conformare gli istituti sociali alla standardizzazione delle due personalità, attribuite a maschi e femmine, con il rischio che «ogni società che faccia violenza alla donna perché assuma una data personalità, definita femminile, fa in pari tempo violenza all’individualità di un gran numero di uomini».
Oppure, dal momento in cui maschilità e femminilità sono concetti relativi e finzioni sociali, si potrebbero crescere e educare sia maschi che femmine allo stesso modo. Riguardo a questa alternativa, l'antropologa americana ha però una obiezione: «l’insistere sull’inesistenza di differenze fra i sessi, in una società che ha sempre creduto in tali differenze e su di esse si è modellata, può essere una forma di standardizzazione della società tanto sottile quanto quella di insistere sull’esistenza di molte differenze».
L'ultima strada che non prevede né l'abolizione delle differenze né tantomeno la loro accettazione, assume che la società possa riconoscere e sviluppare numerose qualità divergenti di temperamento, tralasciando di specializzare le persone lungo linee base come le categorie dell'età, del sesso, della razza e della posizione ereditaria. Si prediligono dunque le doti individuali presenti in natura in entrambi i sessi, sostituendo ai concetti e alle differenze fittizie una distinzione non relativa all'epoca e alla società. Per Margaret Mead è essenziale «accertare tutta la gamma delle potenzialità umane, e con essa fabbricare un tessuto sociale meno arbitrario, nel quale ogni diversa dote umana trovi il posto che le conviene» a vantaggio dunque sia dell'individuo, di sesso maschile o femminile, sia della società che così diventerebbe ricca di valori.
Il suo principale obiettivo era pertanto scoprire quali forme può assumere il comportamento del sesso dal punto di vista del temperamento «tenendo conto dei postulati culturali secondo i quali certi atteggiamenti del temperamento sono congenitamente maschili e altri congenitamente femminili». Purtroppo, potrei dire, non ha mai sottolineato ne ha preso atto delle discriminazioni a livello sociale del sesso femminile nella società occidentale, perlomeno, non lo ha fatto apertamente. Sicuramente i suoi studi sul campo hanno avuto e tutt'ora hanno una importanza fondamentale e sono spesso utilizzati a favore della battaglia per la parità tra sesso femminile e sesso maschile.
È chiaro dunque non solo che il rapporto tra “Sesso” e “Genere” varia a seconda delle aree geografiche e di conseguenza delle società e culture che le popolano, nonché dei periodi storici. Ma che ogni società e cultura definisce il “Maschio” e la “Femmina”, non solo sulla base del sesso, ma sulla base dei valori e i ruoli attribuiti ad essi. Valori che sono del tutto relativi, così come i concetti di maschilità e femminilità.
Le differenze di personalità tra i due sessi sono un’invenzione di tipo culturale e storica, alle quali sia maschi che femmine di ogni generazione vengono educati a conformarsi.
Comments